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Corriere Imprese - lunedì 13 maggio 2019

Signore dei treni

Articolo di Alessandro Zuin

Sorelle in azienda: Sabrina (a sinistra) e Ottorina Carraro, rispettivamente presidente e vicepresidente della Dotto Trains di Castelfranco.

 

Di madre in figlie, il marchio Dotto si è imposto a livello globale sotto una guida femminile. «Noi donne abbiamo una dote particolare: siamo capaci di creare una famiglia anche dentro l’azienda»
È difficile immaginare, per chi ragionasse secondo gli schemi dell’abitudine, qualcosa di  più  maschile  di un’officina meccanica dove si progettano e si producono, pezzo per pezzo, treni turistici su pneumatici esportati ai quattro angoli del mondo. E invece, rovesciando ogni schema precostituito, quella della Dotto Trains di Castelfranco Veneto - un marchio che, in 57 anni di attività, è diventato sinonimo di treno, un po’ come la Nutella per la crema di nocciola spalmabile - è una storia aziendale che si è sviluppata lungo una linea ereditaria prettamente femminile. Sulla scia del fondatore Ivo Dotto, l’inventore di famiglia, che costruì per hobby il primo trenino nel 1962, le chiavi della fabbrica sono passate alla nipote Bruna Dotto Carraro, mancata nel 2016 dopo essere stata a lungo presidente dell’azienda, e quindi alle sue figlie Sabrina, presidente, e Ottorina Carraro, vicepresidente con la responsabilità di seguire la produzione.
Due generazioni di signore dei treni, per un’azienda di nicchia ma globale, che nel 2018 ha superato i 9 milioni di fatturato (con una crescita del 40% sul ‘17), ha 35 dipendenti ed esporta per l’85-90% della produzione. Tanto è vero che, proprio in questi giorni, si sta aprendo un nuovo canale molto importante verso i mercati internazionali, destinazione la Grande Cina.
 

Sabrina Carraro, all’inizio com’è stato entrare in un mondo declinato esclusivamente al maschile?
«Avevo 23 anni, praticamente una bambina rispetto al mondo della fabbrica. In effetti non è stato facile, bisognava conquistarsi la fiducia dei collaboratori e dei clienti. Per fortuna c’era la mamma, che aveva anche competenze in ambito tecnico e si occupava degli acquisti, il suo aiuto è stato fondamentale».


Le donne hanno doti speciali in ambito imprenditoriale?
«Direi proprio di sì. La principale? Sono capaci di creare una famiglia anche dentro l’azienda, nel senso che non bisogna guardare soltanto al lato economico dell’attività ma anche all’importanza dell’aspetto umano e dell’ambiente di lavoro. In azienda si deve essere presenti per dare regole e direttive ma altrettanto presenti se qualcuno è in difficoltà o ha una necessità impellente. Comandare e dare una pacca sulla spalla».


Voi esportate in tutto il mondo e dovete trattare con clienti importanti, che provengono anche da culture in cui il ruolo della donna come capo azienda spesso non è riconosciuto. Come vi regolate in questi casi?
«In alcune aree del mondo le donne non hanno voce in capitolo, può ancora capitare che a qualche riunione d’affari sia necessario farsi accompagnare da una figura maschile... Nell’ultima esperienza a Dubai, negli Emirati Arabi, è andata un po’ meglio: certo, ti fanno uno screening da capo a piedi e, tanto per fare un esempio, a una donna non stringerebbero mai la mano per presentarsi. Ma poi, quando hai passato l’esame e loro si rendono conto che ciò che proponi è reale e verificabile, allora ti vengono incontro. Tanto è vero che alla fine abbiamo concluso un contratto con la Municipalità di Dubai per la fornitura di 10 treni speciali da inserire nei parchi della città».
 

E all’interno dell’azienda, invece, ci sono stati conflitti tra la proprietà tutta femminile e la popolazione maschile dei collaboratori?
«Soltanto all’inizio, più che altro per la differenza di età e di esperienza. Oggi, per dire, la produzione è seguita personalmente da mia sorella Ottorina e il suo ruolo e le sue competenze sono riconosciuti senza difficoltà. Tra l’altro, abbiamo infranto un tabù anche all’ufficio tecnico, dove abbiamo inserito una ragazza, prima in tirocinio e poi in pianta stabile, all’interno di un organico che era totalmente maschile. Sulle prime, i ragazzi mi hanno chiesto: ma deve proprio stare qui? Non può lavorare di là con voi? Erano diffidenti, forse si sentivano meno liberi nelle dinamiche di ufficio. Ma poi hanno capito che una donna poteva avere l’occhio giusto per dare un tocco di eleganza in più al prodotto finale. Infatti, è stata lei a “vestire” i treni della commessa per Dubai, aggiungendo un elemento di design che ha avuto un peso importante.
Adesso lavorano bene, in sinergia, e l’elemento femminile ha portato un valore aggiunto nel team».


Ci sono dei vantaggi a essere donne al comando di un’impresa?
«Nell’approccio umano, indubbiamente sì: le donne sono più aperte al lavoro di gruppo. Il team dal mio punto di vista è fondamentale, è la squadra che fa l’azienda. Inoltre, direi che noi donne siamo più predisposte a non fissarci su un’unica soluzione dei problemi, lavoriamo a mente aperta. E questo, credetemi, è un vantaggio».
 

Lei ha due figli, una ragazza di 26 anni e un ragazzo più giovane: pensa che la linea femminile in azienda sia destinata a continuare?
«Roberta ha completato gli studi universitari, ha fatto la triennale in Economia a Treviso e poi la laurea magistrale alla Cattolica di Milano. Adesso, giustamente, si sta facendo un suo bagaglio di esperienza. Ma conto che un domani seguirà le orme della mamma e della nonna».

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